LE POPOLAZIONI IMMIGRATE:
DALLA DISCRIMINAZIONE ALLA CITTADINANZA
Conferenza Internazionale
"Le collettività locali e regionali di fronte ai flussi migratori nel Mediterraneo:
dall'intolleranza allo sviluppo"
Bari, 2-3 ottobre 1997
European Demographers Youth Team (EDYT) Roma, ottobre 1997
PRIMA PARTE - L'EUROPA E IL MEDITERRANEO
1.1 - Popolazione e migrazioni
1.2 - Il progetto migratorio e le politiche di integrazione
1.3 - La cooperazione decentralizzata
1.4 - Proposte delle Istituzioni Europee nel quadro delle conferenze del Cairo,
Barcellona, Palma di Maiorca
1.5 - L'attività dell'Unione Europea sul problema dell'immigrazione
SECONDA PARTE - L'ITALIA: UN LABORATORIO MEDITERRANEO
2.1 - Lo stato attuale delle migrazioni provenienti dai paesi terzi del Mediterraneo
2.2 - Immigrazione e politiche di integrazione
2.3 - Alcune iniziative in Emilia Romagna
2.4 - Gli albanesi in Puglia
2.5 - La presenza straniera nel Lazio
2.6 - Tutti diversi ma tutti uguali: la testimonianza di una donna rifugiata in Italia
TERZA PARTE - PROSPETTIVE E CONCLUSIONI
3.1 - La dignità degli individui in una società multiculturale:
tra discriminazione e integrazione
3.2 - Dimensione europea ed autonomie locali
3.3 - Cittadinanze diverse: migrazioni, società multietniche e sussidiarietà
1.1 - Popolazione e migrazioni
Le migrazioni costituiscono da sempre un fattore di grande importanza nella dinamica della popolazione dell'Unione Europea. Nel 1995 l'incremento migratorio dei paesi dell'Unione è stato pari a 746.100 unità. Superiore, dunque, all'incremento naturale, pari a 345.800 unità. Del resto è dal 1989 che il saldo migratorio, pur registrando un netto rallentamento nel 1994, continua ad essere superiore a quello naturale, costituendo così la principale componente della crescita della popolazione.
E' soprattutto la regione del bacino mediterraneo ad aver conosciuto i movimenti migratori più intensi e diversificati, scaturiti essenzialmente dagli squilibri demografici ed economici tra i paesi delle due rive. Quasi il 30% (4.946.000) degli stranieri nell'Unione Europea proviene da dodici Paesi del Mediterraneo, soprattutto dalla Turchia, Marocco, Algeria e Tunisia: la comunità marocchina conta 1.125.600 individui, quella algerina 653.000 e quella tunisina 296.700.
In Europa, gli oltre due milioni di immigrati maghrebini risiedono per i due terzi in Francia, dove costituiscono quasi il 40% della popolazione straniera. Una importante comunità marocchina e tunisina è presente anche in Italia, mentre la Germania, che ha registrato un flusso inferiore di immigrati provenienti dal Maghreb, ha accolto oltre il 70% dei cittadini turchi emigrati nei paesi dell'Unione, che costituiscono quasi il 30% dei non nationals presenti nel paese.
Dalla fine degli anni '70 i paesi del Sud Europa come la Spagna, l'Italia ed in minor misura il Portogallo e la Grecia sono gradualmente passati dalla condizione di paesi di origine di movimenti migratori a quella di paesi di destinazione. All'iniziale immigrazione di ritorno dall'Europa Occidentale è seguito il flusso migratorio di cittadini stranieri provenienti dall'Africa del Nord e più recentemente dall'Africa Centrale e dall'Asia.
Mentre nei paesi dell'Europa Occidentale, mete tradizionali di immigrazione, le cause di tali spostamenti sono da ricercare nelle riunificazioni familiari e nei matrimoni, nei paesi in cui l'immigrazione è recente il motivo di tale fenomeno è costituito essenzialmente dal lavoro.
Per una migliore comprensione della realtà attuale può essere utile analizzare le tre fasi dei flussi migratori che hanno interessato l'area del Mediterraneo.
Nella prima fase, che va dal dopoguerra fino alla fine degli anni '60, prevale una sorta di liberismo migratorio e ciò anche in funzione delle esigenze della ricostruzione postbellica. Iniziano i flussi dall'Algeria e dalla Turchia verso, rispettivamente, la Francia e la Germania. Si registra una grande affluenza di Italiani (530.000), Tedeschi (115.000) e Spagnoli (100.000) in Svizzera. In Germania si verificano importanti immigrazioni di Italiani (575.000), Iugoslavi (515.000), Turchi (470.000), Greci (350.000) e Spagnoli (250.000).
La seconda fase ha inizio con la crisi petrolifera del 1973 ed è caratterizzata da una politica di restrizione: la domanda di manodopera che aveva motivato le immigrazioni viene a mancare ed appare lo spettro della disoccupazione anche in Europa. I paesi al Nord del Mediterraneo iniziano a diventare meta di migrazioni, grazie anche allo scarso controllo alle frontiere.
L'ultima fase, che va dai primi anni '80 fino ad oggi, è caratterizzata dalla generalizzazione della problematica migratoria, che coinvolge un numero sempre maggiore di paesi. Oggi i motivi delle migrazioni sono spesso da ricercare nelle forze di spinta dai paesi di origine, mentre minore importanza è da attribuire ai fattori di attrazione nei paesi di accoglienza. Le difficoltà di integrazione hanno inoltre portato gli immigrati a modificare le loro caratteristiche: essi hanno un livello di istruzione superiore rispetto al passato, sono più giovani e determinati a raggiungere un livello di vita superiore rispetto a quello del loro paese di origine.
Come si legge in un Rapporto del Comitato Europeo per la Popolazione del Consiglio d'Europa (CDPO, WP1, 88 Strasbourg), la soluzione dei problemi delle emigrazioni provenienti dal Sud verso il Nord del Mediterraneo risiede comunque nel successo delle politiche di sviluppo di questa regione.
Tab. 1 - La popolazione del Mediterraneo (dati in milioni)
Fonte: World Bank; United Nations
Tab. 2 - Speranza di vita alla nascita (m. e f.)
Fonte: World Bank; United Nations
Tab. 3 - Mortalità infantile (per mille nati vivi)
Fonte: World Bank; United Nations
Tab. 4 - Tasso di Fertilità Totale
Fonte: World Bank; United Nations
Tab. 5 - Le Comunità immigrate (stocks)
FONTE: UN, Commission on Population and Development, 1997
1.2 - Il progetto migratorio e le politiche di integrazione
L'analisi dell'evoluzione dei flussi migratori nel bacino del Mediterraneo pone in luce nuovi aspetti del fenomeno che è, d'altra parte, in continua evoluzione e quindi difficile da controllare.
Le politiche migratorie attuate a livello macro tanto dai paesi di origine che di destinazione hanno all'origine decisioni prese in un sistema micro, che può essere una famiglia o un villaggio.
Alla base di tutto è la vicenda umana vissuta dal migrante, caratterizzata da eventi di importanza fondamentale nella vita di una persona, quali il matrimonio o la nascita dei figli. Tali eventi vengono resi di difficile realizzazione dal distacco dal paese di origine ed in ogni caso assumono caratteristiche specifiche in relazione alle condizioni della migrazione.
Il migrante tende ad inserire le proprie decisioni in un contesto largamente pianificato, che può abbracciare diverse generazioni, nel quale assumono importanza le caratteristiche del nucleo familiare. Fondamentale è ad esempio, per gli individui non coniugati che affrontano la migrazione, la scelta del partner, che può essere resa difficile dall'ambiente sconosciuto e a volte ostile del paese di immigrazione, fino ad essere rimandata al momento del rientro in patria.
Nel caso in cui ad emigrare sia uno dei coniugi la migrazione può essere sinonimo di distacco, e può in ogni caso migliorare la situazione della donna nel senso dell'ottenimento di una maggiore autonomia decisionale sia nel caso in cui essa sia direttamente interessata dalla migrazione, che nel caso in cui rimanga in patria, assumendo il ruolo del capofamiglia emigrato. Il momento del ricongiungimento familiare può essere in questo caso reso difficile dalla maggiore autonomia assunta dalla donna.
Quando infine l'emigrazione riguarda l'intero nucleo familiare i legami con il paese di origine rischiano di diventare sempre più deboli e spesso un ruolo importante di collegamento tra la nuova società e la cultura del paese di origine è assunto dalla donna, soprattutto in relazione all'integrazione dei figli nel paese di emigrazione.
La decisione di migrare è in genere influenzata da una serie di fattori quali le più basse condizioni di vita ed il più alto tasso di disoccupazione nel paese di origine rispetto ad altri paesi. Veri e propri flussi di migrazioni forzate possono essere inoltre il risultato di fattori politici, quali guerre, persecuzioni, conflitti etnici, destinati probabilmente a protrarsi nel tempo, in attesa del tanto auspicato "ordine mondiale".
La presenza, nel paese di destinazione, di una comunità di compatrioti che possa fornire l'aiuto iniziale, attraverso una rete di relazioni sociali ben strutturata; la sempre maggiore disponibilità del trasporto a costi contenuti, che abbatte il fattore distanza, percepito un tempo come ostacolo; la crescente diffusione delle informazioni attraverso i continenti e lo sviluppo di imprese clandestine che organizzano l'immigrazione illegale sono fattori percepiti dall'aspirante migrante come facilitatori della migrazione. Al contrario eventuali politiche di controllo dell'emigrazione nel paese di origine, o programmi internazionali per lo sviluppo economico delle aree di emigrazione promossi dai paesi di destinazione possono invece inibire la decisione di migrare.
In genere il principale stimolo all'emigrazione è comunque di tipo economico: una volta giunto nel paese di destinazione l'emigrato tenderà ad inviare in patria una parte dei propri guadagni, ma anche beni di consumo, beni di investimento, attrezzature e con il tempo potrà acquisire l'esperienza necessaria per avviare un'attività produttiva propria nel paese di origine ed eventualmente coinvolgere altri membri della famiglia.
Nonostante la complessa vicenda umana vissuta dal singolo migrante, questi viene generalmente considerato, nel paese di destinazione, semplicemente come elemento di una minoranza etnica, nei confronti della quale operare attraverso politiche di integrazione, che trattengano gli immigrati, o di rotazione, che ne favoriscano il rimpatrio. D'altra parte la presenza di donne e bambini rende particolarmente visibile una realtà precedentemente sommersa, ponendo in una luce diversa il fenomeno delle migrazioni internazionali.
Solo attraverso la politica di integrazione si può tenere conto dei fattori concernenti le generazioni più giovani. In questo caso infatti larga importanza può essere data alle politiche familiari ed alle questioni intergenerazionali.
In realtà una risposta macroeconomica alle migrazioni ha trovato fino ad oggi una collocazione piuttosto marginale nelle legislazioni europee, nonostante l'importanza dei movimenti di persone, e quindi di beni, nel quadro dello sviluppo dei paesi di origine: in Marocco, ad esempio, le entrate legate alle migrazioni costituiscono un quarto circa delle entrate totali in valuta.
Se la cooperazione internazionale è stata considerata da molti e per lungo tempo un possibile strumento di contenimento delle migrazioni, appare oggi evidente la necessità di interventi particolari per lo sviluppo delle aree in questione, attraverso un'efficace cooperazione decentralizzata che abbia come attori principali le collettività locali tanto dei paesi di origine che di destinazione.
Sarà necessario mirare soprattutto alla riorganizzazione del settore sociale dei paesi in via di sviluppo, alla realizzazione di politiche demografiche che comprendano le popolazioni più isolate, particolare importanza dovrà essere accordata al miglioramento della condizione della donna, che costituisce un elemento di grande importanza per lo sviluppo demografico e alla cooperazione in campo culturale sulla quale si basa necessariamente una società multietnica.
A questi fini le comunità di migranti ed in particolare, al loro interno, le donne migranti, possono essere considerate come i nuovi attori della cooperazione decentralizzata, che sta assumendo un ruolo sempre più importante nell'economia contemporanea tanto dei Paesi di origine che di destinazione.
1.3. La cooperazione decentralizzata
La creazione di un mercato interno europeo ha avuto delle ripercussioni importanti sull'economia dei paesi della riva sud e della riva orientale del bacino mediterraneo, ma in mancanza di cooperazione economica il debito esterno di questi paesi potrebbe accrescersi e gli inconvenienti politici, così come gli squilibri demografici, potrebbero aggravarsi nella regione. Le emigrazioni dovranno quindi far parte integrante di una nuova politica di cooperazione regionale che dovrà essere messa in opera su basi negoziate e istituzionali. Sarà anche bene formulare una vera e propria politica europea dell'emigrazione nel quadro dell'Unione Europea ed in quella del Consiglio Europa, dal momento che "être isolé n'a plus de sens ni dans l'espace à Douze qui est ouvert par construction, ni dans l'espace relevant de l'Organisation qui a élaboré la Convention européenne des Droits de l'Homme" (Haut Conseil à l'intégration - France, Premier rapport)
Nella regione del Sud Mediterraneo la crescita economica è una delle condizioni necessarie per la riduzione degli squilibri che sono di ostacolo ad un dialogo fra le due rive. A tal proposito la cooperazione economica regionale potrebbe fornire un supporto essenziale allo sviluppo economico. Uno dei punti deboli della cooperazione europea è infatti la mancanza di coordinamento fra l'aiuto bilaterale e l'aiuto multilaterale, così come fra l'aiuto pubblico e quello privato. Ne deriva uno spreco considerevole di risorse e uno sviluppo disordinato e non ben organizzato che spesso non coincide con l'interesse generale dei paesi che ne beneficiano. Data la situazione, la Commissione dell'Unione Europea dovrebbe sforzarsi di mantenere i contatti con i paesi membri e le organizzazioni internazionali, operando in questo campo in vista di preparare degli interventi comuni orientati in favore dei paesi del Maghreb su progetti che siano sicuramente e rapidamente redditizi, grazie a una utilizzazione razionale delle risorse.
La collaborazione tra i paesi in via di sviluppo ed i paesi sviluppati dovrà realizzarsi attraverso la riorganizzazione e l'ampliamento del settore sociale e la realizzazione di politiche demografiche mirate a comprendere le categorie di popolazione più isolate. Ancora una campagna per il miglioramento della condizione della donna, avviata a tutti i livelli, potrebbe contribuire in modo importante allo sviluppo demografico. La situazione sociale precaria delle donne, la discriminazione di cui spesso sono vittime nei luoghi di origine e di lavoro, e le leggi e le tradizioni dei loro paesi, talvolta impediscono che esse trovino posto e identità nella società obbligando la maggior parte di esse ad occuparsi di grandi famiglie e ad operare per il loro futuro.
La politica di salute pubblica di questi paesi dovrebbe mirare a organizzare ospedali ben attrezzati nelle regioni rurali così come dei centri di pronto intervento, dei consultori, dei centri di orientamento anche in materia di family planning e dei servizi di medicina preventiva per ridurre i casi di malattie contagiose o dovute a problemi igienici o addirittura dall'ignoranza.
La pianificazione familiare dovrebbe essere estesa all'insieme del territorio di questi paesi, soprattutto alle regioni rurali e poco sviluppate dove gli abitanti hanno tendenza a procreare abbondantemente e dove la mortalità infantile e materna è molto elevata. Questi programmi dovrebbero essere applicati non solamente da assistenti sociali ben preparati ma anche essere concepiti in modo tale da favorire la loro propagazione attraverso le abitudini, i costumi, la cultura delle popolazioni.
I governi che realizzeranno politiche di questo tipo non dovranno poi ignorare la realtà dei loro paesi, per questo è necessario lo sviluppo di istituzioni adeguate anche di carattere statistico, soprattutto per rilevazioni o ricerche che possano fornire le informazioni necessarie alla realizzazione di questi progetti. Per evitare che iniziative e programmi non vedano ridotta la loro efficacia da effetti collaterali di ordine macroeconomico, bisognerebbe anche tenere sotto controllo le conseguenze delle politiche di liberalizzazione economica, di riduzione dell'occupazione su determinati gruppi sociali nei paesi di origine a causa della fragilità delle loro condizioni di vita. Una tale situazione potrebbe alimentare nuovi flussi di emigrazione e rischiare così il propagarsi della propensione all'emigrazione.
Il ricorso a movimenti migratori stagionali può favorire la formazione professionale e il trasferimento di rimesse, anche se pone naturalmente problemi particolari legati soprattutto alla difficoltà di garantire il ritorno ai paesi d'origine alla fine del periodo previsto. Questa osservazione non dovrebbe comunque ostacolare nuove esperienze in questo campo, soprattutto nelle aree occupazionali più facilmente controllabili e suscettibili di fornire garanzie circa il rimpatrio dei lavoratori interessati. Vi sono delle esperienze del resto in Europa, inaugurate da autorità locali e regionali, che possono essere un buon esempio di questa prospettiva.
Il fenomeno delle migrazioni internazionali implica per la sua stessa natura la presa in considerazione di sistemi di norme e di valori che appartengono a culture diverse il cui incontro, per essere armonizzato e armonioso, deve essere ben preparato. Da questo punto di vista la cooperazione in campo culturale fra l'insieme dei paesi interessati ai fenomeni migratori dovrebbe essere rinforzata e posta addirittura in ordine di priorità nell'interesse comune della reciproca conoscenza delle parti in causa. In quest'area i programmi sono purtroppo ancora troppo timidi soprattutto per quanto riguarda l'impiego delle risorse e delle priorità culturali e scientifiche che vi sono impegnate. In modo particolare la questione dei rapporti culturali e scientifici fra le popolazioni e le comunità di ispirazione islamica e cristiana deve essere maggiormente presa in considerazione. Degli sforzi importanti sono già visibili. La Conferenza sulla popolazione e sullo sviluppo del Cairo (settembre 1994) ne è stata una testimonianza. Ma le visioni diverse fra le due culture rispetto a determinati fondamenti dell'organizzazione politica internazionale, soprattutto in materia di diritti dell'uomo, non deve impedire di valorizzare uno degli aspetti più profondi che potrebbe collegare le due culture: la visione cioè della persona come essere morale cosciente del bene e del male e predisposta ad una cultura universale se non addirittura ad un'etica politica.
Il ruolo dei giovani sarà anche decisivo, come sottolineato da un programma Transmed del Centro Nord-Sud del Consiglio d'Europa: "Confidence building and cooperation among young people is an essential requirement for the success of the peace initiatives in the Middle-East and Mediterranean region in general. A broad multilateral framework of cooperation, dealing with problems and challenges for our common future which are shared by all young people, is the most suitable platform to build confidence and understanding between young people from different ideological, religious, ethnic and regional backgrounds" (Trans-mediterranean, youth cooperation in the framework of the North-South Centre's youth programme in 1994 and 1995).
Si osserva attualmente che lo sviluppo e l'equilibrio demografico non sono più considerati unicamente come problemi interni ad ogni stato direttamente interessato ma come problemi propri di una comunità umana più ampia che comprende l'insieme dei paesi toccati dalle migrazioni ed il cui carattere sussidiario passa attraverso le istituzioni locali regionali, nazionali ed internazionali.
L'evoluzione del sistema di regolamentazione dei flussi ha evidenziato la necessità di un approccio sovranazionale al problema. In questo contesto le migrazioni costituiscono una parte integrante della cooperazione allo sviluppo e sono gli stessi migranti a mettere in comunicazione due sistemi, due società, due popoli e anche due comunità, come ad esempio quella europea e quella magrebina. Da qui la necessità di un dialogo un negoziato perché il problema non può essere risolto da uno solo dei due poli in questione.
1.4 - Proposte delle Istituzioni Europee nel quadro delle conferenze del Cairo, Barcellona, Palma di Maiorca
La realizzazione di misure di controllo dell'emigrazione da parte dei paesi al Nord del bacino del Mediterraneo non può portare al contenimento dei flussi di immigrati clandestini provenienti dal Sud, senza essere accompagnata da misure che favoriscano lo sviluppo dei paesi esportatori di manodopera.
Allo stato attuale i trasferimenti degli immigrati sotto forma di denaro e conoscenze tecniche acquisite all'estero rappresentano quasi l'unico aiuto allo sviluppo che ricevono i paesi di origine, considerato che i finanziamenti pubblici destinati a questi paesi sono ancora molto inferiori a quelli raccomandati dalle Nazioni Unite.
La necessità di intraprendere delle azioni che portino ad una inversione delle tendenze attuali è perciò fondamentale tanto per i paesi del Sud quanto per quelli del Nord. E' quindi indispensabile non solo aumentare gli aiuti pubblici destinati a questi paesi ma anche facilitare il loro accesso ai mercati mondiali. I flussi di capitale si invertiranno allora a favore del Sud che potrà così disporre dei mezzi necessari al suo sviluppo accrescendo notevolmente la sua capacità di trattenere la popolazione.
Le misure e le politiche da adottare sono state largamente discusse nella Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite del Cairo (1994), nella Conferenza euro-mediterranea di Barcellona (1995) e nella Conferenza mediterranea sulla popolazione, le migrazioni e lo sviluppo tenutasi a Palma di Maiorca (1996).
Nella Conferenza del Cairo si è affermata l'esigenza di un dialogo maggiore tra i paesi di origine e quelli di destinazione al fine di promuovere delle forme di cooperazione, che portino a soluzioni positive sia per gli uni che per gli altri.
Con il passare del tempo le politiche in materia d'immigrazione straniera mutano e si evolvono. Oggi, contrariamente rispetto a quanto avveniva in passato, quando l'immigrazione era considerata solo un problema interno al paese, si afferma con sempre maggiore forza l'idea di un confronto e di una pianificazione a livello internazionale.
Nel "Programme of Action" della Conferenza del Cairo si sostiene che i flussi di persone diretti verso un paese diverso da quello di origine sono regolati essenzialmente da relazioni aventi carattere economico, politico e culturale e coinvolgono i paesi sviluppati, quelli in via di sviluppo e quelli ad economia in transizione. I fattori principali di questi spostamenti sono la povertà, la degradazione dell'ambiente, l'assenza di pace e sicurezza e la violazione dei diritti umani. Spetta perciò ai Governi valutare le cause che sono all'origine dell'emigrazione, specialmente quelle che determinano povertà; incoraggiare una più stretta cooperazione tra i paesi che inviano e quelli che ricevono migranti; facilitare la reintegrazione dei migranti che ritornano in patria; prevenire il fenomeno deille migrazioni clandestine e proteggere gli immigrati dal razzismo assicurando loro i diritti umani.
I punti fondamentali che emergono dalle raccomandazioni finali del documento relativamente alle migrazioni internazionali sono due:
1. l'importanza e la necessità dell'integrazione degli immigrati nel paese di destinazione;
2. la cooperazione internazionale come unica via da percorrere per ridurre i flussi migratori.
Le forme di cooperazione non possono più essere attuate solo a livello governativo ma si devono creare nuove forme di cooperazione tra i singoli Stati in modo da permettere il raggiungimento di un giusto equilibrio tra offerta e domanda d'immigrati, ridurre i flussi irregolari, tutelare maggiormente quelli regolari e considerare il problema ad un livello internazionale e non interno del singolo paese. I paesi industrializzati devono trovare insieme una soluzione che permetta di far fronte al crescente numero di immigrati e contemporaneamente favorire l'integrazione di quelli che sono già presenti.
Nella Conferenza euro-mediterranea di Barcellona è stato avviato un partenariato tra l'Unione Europea e altri dodici Paesi del Mediterraneo che si è fissato tre obiettivi:
1. stabilire una zona comune di pace e stabilità;
2. creare una zona di prosperità comune con un'area di libero scambio e con l'aumento sostanziale dell'appoggio finanziario dell'Unione agli altri Paesi Partenaires;
3. sviluppare le risorse umane, promuovendo gli scambi e la comprensione tra le diverse culture .
Il Partenariato è stato creato con uno spirito di uguaglianza, di cooperazione e di solidarietà con lo scopo di avvicinare i Parteners e ridurre le fonti di conflitto. Con questa iniziativa l'Unione Europea ha dunque dimostrato di voler avere un ruolo maggiormente attivo nella Regione sotto l'aspetto politico, economico e sociale.
Gli Accordi d'Associazione hanno due obbiettivi principali: da una parte costruire in maniera globale la zona di libero scambio euromediterranea, dall'altra tener conto completamente delle specificità di ciascun Paese parteners.
Il tema della politica e della sicurezza nella Regione euro-mediterranea, sembra condurre ad un promettente dialogo all'interno del Partenariato. Si è trattato di un discorso del tutto nuovo nell'ambito della cooperazione tra Unione europea e Partenaires mediterranei anche se da molto tempo gli Stati interessati avevano manifestato l'esigenza di discutere di questi temi all'interno di un Forum.
La Commissione ricorda che il dialogo politico non deve dimenticare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali che costituisce il fulcro della politica dell'Unione europea nel mondo. L'adozione e l'attuazione delle norme internazionali in materia di diritti umani sono essenziali alla stabilità politica e sociale a lungo termine. In questo senso tutti i Partenaires mediterranei devono essere incoraggiati a divenire firmatari di tutti gli atti internazionali relativi ai diritti umani e ad assumere l'impegno di metterli in atto completamente.
La Commissione suggerisce inoltre di instaurare un dialogo che affronti il pericolo della diffusione di qualsiasi tipo di arma, come fattore d'instabilità della Regione e creare delle convenzioni per la lotta contro il terrorismo.
Anche il Parlamento europeo sottolinea l'importanza di questo obiettivo suggerendo l'emanazione di una Carta per la pace e la stabilità tra l'Unione europea e gli altri partenaires mediterranei che abbia lo scopo di creare le basi per un dialogo duraturo, prevenire i conflitti e stabilire un clima di fiducia nella Regione.
La zona euro-mediterranea di libero scambio sarà realizzata attraverso gli Accordi euro-mediterranei di Associazione e gli accordi di libero scambio tra i Partenaires mediterranei. La sua progressiva realizzazione dovrà essere facilitata da politiche di aggiustamento economico fondate sui principi dell'economia di mercato.
Anche se non verranno effettivamente attuati degli accordi bilaterali euro-mediterranei, sarà veramente importante riuscire a facilitare la libera circolazione dei beni all'interno della zona euro-mediterranea attraverso l'adozione di disposizioni adeguate in materia di certificazione, di protezione dei diritti di proprietà intellettuale e della concorrenza.
L'unione Europea ha inoltre destinato, nel quinquennio 1995-99 una parte, notevolmente più sostanziosa rispetto al passato, delle risorse previste nel suo budget agli aiuti alla Regione mediterranea. Queste misure potrebbero però non avere l'effetto sperato se ad esse non si accompagnano i processi di modernizzazione e di adattamento dei Partenaires mediterranei.
Il Partenariato euro-mediterraneo si sta creando nel campo economico proprio mentre la stessa Unione Europea sta compiendo delle politiche di apertura all'Est. Questi cambiamenti sono considerevolmente importanti per i Partenaires mediterranei che effettuano la maggior parte dei loro scambi con l'Unione e ricevono da essa la maggior parte degli investimenti privati. Appare così fondamentale preparare attivamente i Partenaires mediterranei ai mutamenti che sono in corso all'interno dell'Unione Europea, al fine di permettere loro, proprio in quanto partenaires associati all'Unione, di adattare per quanto possibile le loro politiche economiche a questa evoluzione e di avere l'opportunità di comunicare il proprio punto di vista.
Queste azioni di preparazione potrebbero prendere la forma di incontri e scambi tra rappresentanti di governo, operatori privati, universitari e culturali e dovrà essere appoggiato dal programma MEDA.
Sarà inoltre molto importante intraprendere la promozione degli investimenti privati europei nella Regione che dovranno essere realizzati essenzialmente da operatori privati europei e mediterranei con il sostegno del programma MEDA.
Secondo la Commissione Europea, l'Unione dovrebbe inoltre perseguire l'obiettivo di condurre una politica di sostegno alla cooperazione e all'integrazione infra-regionale e sub-regionale. Le azioni dovrebbero in particolare esplicarsi nell'offrire assistenza tecnica alle negoziazioni di accordi economici soprattutto in materia commerciale. L'avvicinamento e l'integrazione economica regionale o sub-regionale costituisce dunque un elemento chiave per l'ampliamento dei mercati e un fattore di attrazione degli investimenti esteri privati.
Per il terzo obiettivo della Conferenza di Barcellona, la Commissione propone di realizzare sei misure concrete che si sintetizzano nei seguenti punti:
1. perseguire e realizzare delle attività riguardanti il patrimonio culturale con progetti a carattere regionale e con l'intensificazione di manifestazioni culturali da organizzarsi congiuntamente ad altri Partenaires;
2. approfondire il dialogo tra le diverse civiltà che si potrebbe sviluppare attraverso l'organizzazione di una conferenza pubblica su questo tema;
3. approfondire il dialogo euro-mediterraneo sul tema dei diritti umani;
4. rendere duraturo il dialogo esistente tra società civili attraverso la preparazione di Forum civili euro-mediterranei che possano assicurare il raggiungimento di questo obiettivo;
5. sottomettere a breve scadenza ai Ministri incaricati della gioventù, una proposta concreta di cooperazione euro-mediterranea che tratterebbe sia di attività rivolte ai giovani che del servizio volontario nell'ambito di un sistema operativo decentralizzato;
6. intraprendere un dialogo sul crimine organizzato, la droga e le migrazioni.
Le proposte emerse dalla Conferenza di Palma di Maiorca si fondano essenzialmente sui seguenti punti:
1. aumentare la cooperazione istituzionale con una maggiore partecipazione dei paesi a Sud e a Nord del Mediterraneo alle attività del Consiglio d'Europa; ampliare il dialogo culturale; creare una task force all'interno del Consiglio d'Europa che coinvolga tutti i partenaires della cooperazione decentralizzata e rafforzare gli organi di cooperazione regionale come il Consiglio dell'Unione del Maghreb, il Consiglio dell'Unità economica araba e la zona araba di libero scambio;
2. istituire un osservatorio o una fondazione che funzioni con una rete di corrispondenti dello stesso tipo di quella dell'OCDE-SOPEMI, per raccogliere i dati statistici sulle tendenze demografiche, le migrazioni e l'evoluzione economica e sociale nella Regione mediterranea e che permetta di avere un raffronto sulle statistiche nazionali in campo migratorio;
3. effettuare delle politiche di aiuto allo sviluppo che mirino essenzialmente all'alleggerimento del debito pubblico per i paesi più poveri, al trasferimento delle tecnologie, anche di quelle considerate obsolete al Nord, ma che possono essere creatrici di impiego al Sud, alla nascita di piccole e medie imprese e attività nel settore agricolo.
4. attuare delle iniziative di riforma sociale, economica e politica dando priorità assoluta alla formazione del capitale umano all'educazione e alla sanità. Altri interventi devono poi concretizzarsi nel miglioramento della condizione della donna, nella riduzione delle disparità socio-economiche, nella formazione di una classe imprenditoriale, nel garantire le libertà fondamentali e nel promuovere quelle riforme politiche che rafforzino la legittimità dei governi.
1.5 - L'attività della Unione Europea sul problema dell'immigrazione.
Il problema della libera circolazione dei cittadini comunitari all'interno dell'Unione Europea, si intreccia con quello della politica dell'immigrazione, in quanto comporta una politica uniforme nei confronti degli immigrati extracomunitari da parte degli Stati europei.
Nel 1986 è stato costituito in seno alla Comunità un gruppo ad hoc sull'immigrazione che ha lavorato in vista di una politica comune. Norme coordinate per una politica dei visti sono oggi contenute in parte nel trattato di Schengen e nella convenzione sul passaggio delle frontiere esterne della comunità del settembre 1992.
L'importanza crescente del problema dell'immigrazione come anche delle richieste di asilo politico all'interno del calendario dell'Unione Europea ha portato all'affermazione a livello comunitario dell'idea che i problemi legati all'emergenza migratoria possano essere affrontati solo con la cooperazione tra gli Stati Membri, attraverso un'azione efficace di controllo, al fine di contenere l'immigrazione entro strutture gestibili, nonché volta a rafforzare le iniziative per l'integrazione degli immigrati regolari.
Tale risultato è, tuttavia, il punto d'arrivo di un lungo processo che prende le mosse dalla legislazione sul mercato interno CEE, derivata dal "Libro Bianco" del 1985 della Commissione Europea.
In sede di redazione del citato "Libro Bianco", l'opinione dominante, per superare l'empasse che si era determinato in tema di politiche sulla libera circolazione delle persone alle frontiere comunitarie e, quindi, di immigrazione dai Paesi Terzi, considerava sufficiente agire nel quadro dell'art. 7A del trattato di Roma, in altre parole si trattava di utilizzare la nozione di Mercato interno, definito come uno spazio senza frontiere interne, in cui è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali.
La disciplina comunitaria in materia, infatti, era sostanzialmente ferma alle disposizioni in tema di controlli alle frontiere sulle persone fisiche, ovvero, alle direttive 68/360/CEE e 73/148/CEE che contemplavano come unica formalità da adempiere per il cittadino comunitario che si rechi in altro Paese Membro, la presentazione di una carta d'identità.
Norme specifiche che riguardavano il possibile controllo del bagaglio, sia per motivi di sicurezza che fiscali non erano più applicabili.
In tale contesto la Commissione aveva scadenzato al 1992 l'attuazione delle disposizioni di armonizzazione, deregulation ed eliminazione dei controlli alle frontiere intracomunitarie.L'effettiva applicazione del principio della libera circolazione sul territorio comunitario, si è scontrata, tuttavia, con i problemi relativi alla lotta al terrorismo, al controllo del traffico delle armi e degli stupefacenti, nonché con il problema della prostituzione.
Ciò ha portato di fatto a spostare i lavori sull'armonizzazione della disciplina relativa alla "libera circolazione" dall'ambito comunitario in senso stretto a quello intergovernativo.
Il trattato CEE, tuttavia, non disciplinava direttamente la materia delle politiche dell'immigrazione. Con l'Atto Unico è stato aggiunto l'art. 8A che recita: "Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali...".
Solo con il Trattato sull'Unione, infatti, è stata dichiarata "questione di interesse comune" la politica di asilo, dell'immigrazione e quella nei confronti dei cittadini dei Paesi Terzi (Art K1 nn 1, 2, 3). In tale materia, peraltro, l'Unione Europea deve operare nel rispetto della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali - firmato a Roma il 4 novembre 1950 - e della Convenzione relativa allo status di rifugiati del 28 luglio 1951, tenendo conto della protezione che gli Stati membri concedono alle persone perseguitate per motivi politici.
Il Trattato sull'Unione Europea, peraltro, inserisce un nuovo articolo 100 C, dedicato ai problemi dell'immigrazione. In tale norma, viene attribuita alla competenza del Consiglio, la determinazione dei Paesi i cui cittadini devono essere in possesso del visto per l'attraversamento delle frontiere esterne (decisione che dal gennaio 1996 possono essere prese a maggioranza qualificata).
Ai sensi dell'art K.9 viene stabilito che il Consiglio possa decidere, deliberando all'unanimità, di rendere applicabile il citato articolo 100 C del trattato ad azioni pertinenti la politica dell'asilo e di immigrazione direttamente nelle competenze dell'Unione.
Inoltre il titolo sesto del trattato in questione istituisce la cooperazione intergovernativa nei settori della giustizia e degli affari interni, compresa la politica degli asili, la politica dell'immigrazione e quella da seguire nei confronti dei Paesi Terzi relativamente alla lotta contro i clandestini, alle condizioni di entrata e di soggiorno.
Il 12 luglio 1995, la Commissione europea ha adottato tre proposte di direttive volte ad abolire i controlli sulle persone alle frontiere interne dell'unione. Una prima proposta (COM (95)347), che modifica la direttiva 68/360/CEE e la direttiva 73/148/CEE, mira all'armonizzazione dei controlli alle frontiere interne. La proposta (COM (95)346) è relativa al diritto di viaggiare all'interno della comunità per i cittadini dei Paesi Terzi.
La Convenzione di Dublino, firmata dai dodici Paesi membri il 15 giugno 1990, interviene in materia di asilo politico, unificando le procedure per l'esame delle richieste di asilo. Essa, in particolare, definisce i criteri per stabilire il paese responsabile della domanda di asilo di un richiedente in arrivo sul territorio dell'Unione, al fine di evitare le cosiddette domande multiple o i rifugiati che vengono "passati" da un paese all'altro dell'Unione stessa. Detta convenzione è stata ratificata dalla Danimarca, Grecia, Regno Unito, Irlanda e Portogallo.
La Convenzione di Schengen, firmata il 19 giugno 1990, sancisce all'art.2 il principio fondamentale secondo cui i confini tra gli Stati aderenti "possono essere attraversati senza che siano effettuati controlli sulle persone", salvo, naturalmente periodi transitori legati ad eventi eccezionali di ordine pubblico o di sicurezza nazionale. Peraltro, per superare i problemi relativi alla sicurezza, oltre ad essere istituito un principio di cooperazione tra le polizie degli Stati aderenti nell'ambito della lotta alla delinquenza, attraverso l'attivazione di un sistema telematico tra le autorità dei diversi paesi, è anche previsto un sistema di assistenza giudiziaria reciproca.
Nell'ambito di un approccio comune in sede comunitaria in materia di emigrazione, si segnala infine che il 20 giugno 1994 i Ministri degli Interni e della Giustizia della Comunità si sono impegnati a far riferimento ai principi di Maastricht per l'armonizzazione delle politiche di ammissione ai fini occupazionali degli immigrati extracomunitari.
L'Italia: un laboratorio mediterraneo
2.1 - Lo stato attuale delle migrazioni provenienti dai paesi terzi del Mediterraneo
Secondo i dati ufficiali del 1995 sono circa 1.000.000 gli stranieri che vivono in Italia con regolare permesso di soggiorno e tra il 1994 e il 1996 il loro numero è aumentato del 7,4%, a conferma della trasformazione del paese di tradizionale emigrazione ad importante meta di immigrazione. E' interessante rilevare che dopo il 1993 l'immigrazione è stata in Italia la sola causa di crescita demografica.
La libera circolazione dei cittadini comunitari, la presenza certa, ma non verificata, di individui in condizioni irregolari o illegali cosi come il turn over dell'iscrizione e del rilascio dei permessi di soggiorno che non è a pieno regime, rendono necessaria una certa prudenza nell'interpretazione dei dati ufficiali. Tuttavia le informazioni disponibili offrono delle indicazioni rilevanti per quanto riguarda la distribuzione degli stranieri sul territorio, la provenienza dei flussi migratori o la composizione per sesso ed età delle comunità di immigrati.
Alle spalle del milione di stranieri regolari vi è l'ombra dei clandestini, che rappresentano un'entità difficile da rilevare. Secondo l'Istat, 679.000 stranieri non iscritti all'anagrafe lavorano "in nero" in Italia e si tratta in prevalenza di persone presenti clandestinamente.
Un ruolo importante nel processo di regolarizzazione è stato svolto dalla "sanatoria Dini", anche se non si è trattato di una sanatoria generalizzata: hanno potuto chiedere di essere messi in regola, entro il 31 marzo '96, solo gli stranieri lavoratori dipendenti o coloro che avevano lavorato per almeno quattro mesi.
I permessi di soggiorno rilasciati hanno inciso soprattutto sulle statistiche del '96 e del primo semestre del '97. E' stato accolto il 95 % delle istanze, concentrate soprattutto a Roma, Milano, Torino e Napoli.
Per quanto riguarda i paesi di provenienza degli immigrati, oltre 260.000 persone (equivalente al 27% degli stranieri ammessi regolarmente in Italia) vengono dall'Africa, e di questi 94.000 sono originari del Marocco.
La distribuzione degli stranieri in Italia non è omogenea: la grande maggioranza dei nuovi arrivati ha scelto di vivere al centro nord (81%), in particolare nel nord-ovest (29%) e nel centro (30%).
La regione con il maggior numero di presenze (oltre 200.000) è la Lombardia, mentre Roma risulta essere la provincia che accoglie il maggior numero di stranieri (circa 194.000, equivalenti al 94% del totale regionale), seguita da Milano, con il 160.000 presenze, pari al 70% del totale regionale.
La regione più densamente popolata risulta essere il Lazio con 4 stranieri ogni 100 abitanti. La comunità prevalente è quella marocchina con 94.000 presenze, distribuite soprattutto al nord (il 25 % nella sola Lombardia, contro solo il 6% del totale nel Lazio). L'altra grande comunità è quella tunisina, con 46.000 presenze, concentrate per la maggior parte in Sicilia (circa il 13,7%), nel Lazio ed in Emilia.
Per quanto riguarda la provenienza dei flussi migratori, 265.000 persone (equivalente al 27% degli stranieri ammessi regolarmente in Italia) vengono dall'Africa: 93.000 dal Marocco, 41.000 dalla Tunisia, 25.000 dal Senegal, 21.000 dall'Egitto, 26.000 da Somalia e Etiopia, al momento il numero di algerini e libanesi resta relativamente poco elevato.
Si tratta per la maggior parte di migrazioni dovute a fattori di spinta piuttosto che di attrazione, anche se questi ultimi esistono sicuramente, in rapporto a certe tipologie d'impiego precario o sommerso.
La distribuzione degli immigrati secondo il, mostra a livello generale una prevalenza di maschi (56,1%), che varia però in relazione alle diverse comunità d'origine; tra gli immigrati provenienti dall'Africa le donne sono in netta minoranza (28,7%), ed in particolare esse rappresentano appena il 6,4% delle presenze nella comunità senegalese, il 19,4% nella comunità tunisina ed il 24,4% in quella marocchina. Tra gli europei la componente femminile rappresenta invece il 58,7%, con una percentuale importante di donne provenienti dall'ex Urss, dall'Ungheria, e dalla Bulgaria.
Dal 1994 in poi il numero delle donne è cresciuto ad ritmo più sostenuto (+11,85) rispetto a quello degli uomini (+6,7%). Un incremento molto differenziato tra i sessi si è verificato per gli africani: i maschi sono aumentati del 4,7% mentre le donne del 15,6%; mentre più contenuto è stato lo scarto tra gli europei: i maschi sono aumentati del 12% e le donne del 12,9%; questa differenza è dovuta al fatto che il fenomeno del ricongiungimento familiare interessa soprattutto i paesi africani (il 41,8% dei permessi di soggiorno rilasciati agli immigrati africani sono infatti per motivi di ricongiungimento familiare, contro il 26 % di quelli concessi agli europei).
Per quanto riguarda la distribuzione per età degli immigrati, il 70% degli stranieri si colloca nella fascia compresa tra i 19 e i 40 anni (686.000 unità circa), il 20% tra i 41 e i 60 (200.000) e solo il 7% ha più di 61 anni.
Un'analisi più attenta dei flussi migratori ci permette di ridefinire la posizione secondo cui ormai sono i soli fattori di spinta a sostenere le migrazioni; si propone invece un'interpretazione più complessa secondo cui il fattore espulsivo si lega, nella scelta individuale o familiare ad emigrare, ad altri elementi, quali appunto la domanda di lavoro, sia formale che informale, e la concreta possibilità di accesso ad un determinato Paese.
Per tale ragione sarebbe utile concretizzare un reale programma di flussi migratori, che permetta ingressi regolari sia ai lavoratori stabili che a quelli stagionali, al fine di evitare che questi ultimi si indirizzino sul solo canale illegale di ingresso, e siano in tal modo destinati al lavoro irregolare.
Secondo i dati del 31 dicembre 1995, su 991.419 permessi di soggiorno, 518.395 venivano concessi per lavoro dipendente e 38.431 per lavoro autonomo, costituendo insieme il 56,6% del totale.
A differenza di paesi come la Francia e la Germania i cui flussi hanno raggiunto una certa maturità, i permessi per motivi di ricongiungimento familiare in Italia costituiscono solo il 12,6% del totale, pur essendo in continuo aumento: man mano che gli immigrati si inseriscono nel mondo del lavoro ed acquisiscono un certo benessere economico invitano i loro familiari a raggiungerli. Le richieste di permesso sono infatti passate da 7.485 nel 1991 a 16.247 nel 1995, con un incremento quindi del 117%.
La manodopera immigrata è tendenzialmente meno dotata di strumenti informativi e relazionali, più adattabile a tutti i tipi di lavoro, più mobile, più ricattabile rispetto alla manodopera locale; le ricerche svolte hanno confermato la tendenza a spostarsi sul territorio nazionale in aree più favorevoli dal punto di vista occupazionale, ciò porta ad una settentrionalizzazione dell'immigrazione e ad una collocazione in posti di lavoro con minori possibilità di carriera, con orari di lavoro particolari, meno remunerativi, localizzati in aree disagiate.
Al nord, ed in alcuni distretti industriali del centro sud, i settori interessati sono soprattutto l'industria, in particolare quella media e piccola che possiede un tasso più modesto di tecnologia ed è flessibile e decentrata, l'edilizia e il terziario.
Al centro sud la presenza più contenuta degli stranieri è concentrata nei servizi (domestici o alle persone) e nell'agricoltura.
La situazione occupazionale degli immigrati in Italia, può essere analizzata più attentamente attraverso le informazioni relative alle iscrizioni al collocamento: dal 1993 al 1995 se ne è verificato un forte aumento, nello stesso arco di tempo infatti gli immigrati disoccupati sono aumentati del 29%.
Per quel che riguarda la concentrazione sul territorio degli iscritti al collocamento, il 51% sono al nord, il 27,1% sono al centro e il 21,9% al sud.
L'incremento della disoccupazione è molto diversificato per le diverse regioni italiane, si registrano infatti valori minimi nelle Marche (1,3%), valori intermedi in Toscana e in Puglia (rispettivamente 10,2% e 19,2%) ed infine valori massimi in Campania e nel Lazio (33,3% e 46,9%).
I disoccupati maschi sono il 70% e molto numerosi (circa l'80%) sono senegalesi, pakistani, tunisini e marocchini. Inferiore è invece il totale delle donne disoccupate, circa il 30%, tra queste particolarmente numerose sono quelle che provengono dal Brasile, dalla Polonia e dalle Filippine.
Un altro aspetto di rilevante interesse circa il problema dell'occupazione degli immigrati è sicuramente il loro livello di scolarità e di istruzione: dai dati del Ministero del Lavoro emerge che solo il 2,2% ha una laurea, il 7,2% ha un diploma di scuola superiore, invece ben il 74,3% è privo di un qualsiasi titolo di studio.
2.2 - Immigrazione e politiche di integrazione
"Sembra difficile definire in maniera univoca e precisa il concetto di integrazione, e ciò in quanto suussistono sostanziali differenze nelle definizioni adottate dai diversi Paesi, e, a volte, nell'ambito di uno stesso Paese, a causa di una eterogenea gamma di fattori, tra cui anche le diversità di genesi e di sviluppo storico e politico dei Paesi stessi." (Natale M., Strozza S. ,1997)
L'importanza crescente assunta dai flussi migratori in Italia ha portato ad un'attenzione sempre maggiore nei confronti del fenomeno dell'integrazione degli immigrati.
Secondo alcune stime, le organizzazioni che si occupano di immigrati e dei loro bisogni costituiscono una rilevante rappresentanza delle strutture operanti nell'ambito del mondo del volontariato italiano.
L'offerta di tali strutture copre un vasto ventaglio di servizi: dall'aiuto e la prima assistenza alle strutture di accoglienza e servizi domiciliari, sanitari e legali, nonché la semplice assistenza e promozione culturale. La crescita di tali strutture deve necessariamente seguire l'andamento del fenomeno a cui si rivolge.
I principali bisogni degli immigrati sono di carattere legale, sociale, medico, culturale e di formazione al lavoro.
Per quanto attiene all'aspetto legale, bisogna sottolineare come la difficile e complessa situazione normativa italiana sia caratterizzata nel campo dell'immigrazione da un forte ritardo rispetto alle normative europee: basti pensare che solo nel 1986 vi è stata la prima regolamentazione in materia di lavoro subordinato e che solo nel 1990 è nata la cosiddetta "legge Martelli"(per la regolamentazione dell'ingresso degli stranieri in Italia).
Per quanto riguarda l'assistenza medica, sebbene prevista legalmente solo per gli stranieri "regolari", in pratica viene anche assicurata dalle associazioni di volontariato, le quali si occupano di quei soggetti che non possono ricorrere alle strutture pubbliche.
L'assistenza sociale riguarda una vasta gamma di servizi offerti che raccolgono prestazioni di diversa natura, la maggior parte delle quali sono anch'esse fornite dalle associazioni di volontariato (proprio in virtù della vastità e della diversità dei destinatari e delle categorie sociali).
Ben diversa è la situazione per quanto attiene delle strutture operanti nel settore culturale. Lo sforzo intrapreso in questo senso dalle organizzazioni di volontariato verte su tre principali direttive: insegnamento, animazione socioculturale ed intrattenimento. Appare evidente come lo studio e la cultura (intesa sia nel senso dell'apprendimento generale della cultura locale sia della difesa e del mantenimento della propria identità) agiscano come importantissimi veicoli di integrità culturale, di integrazione e di promozione sociale.
Senza dubbio la formazione professionale degli immigrati riveste un particolare interesse sia nel campo sociale (possibilità di trovare lavoro ed occupazione) sia nella promozione personale (con possibilità di migliorare quantitativamente il livello di vita e l'inserimento nel tessuto sociale e lavorativo italiano).
Nel campo sindacale, in particolare, esiste un forte interesse a favore delle comunità immigrate. Soltanto recentemente, però, si è potuto registrare un grosso sviluppo a favore dell'immigrazione grazie a motivazioni che possono essere ricollegate a quattro grandi fattori:
a) la modifica quantitativa e qualitativa di recente avvenuta del fenomeno "immigrazione" che ha investito anche il mondo del lavoro;
b) lo sfruttamento delle situazioni di disagio e di ignoranza legale da parte dei datori di lavoro e la progressiva serie di diritti alla difesa contrattuale acquisita da parte degli immigrati;
c) il presentarsi di fenomeni di debolezza nei rapporti sindacali o lavorativi per donne, lavoratrici madri e minori, nonché l'apparente diffusione di lavoro nero o caporalato spesso a danno di clandestini ed irregolari;
d) l'attuazione di strumenti contrattuali e di tutela giuridica (legge 983/1986 in materia di collocamento e di lavoro subordinato e la 39/1990 in materia di lavoro autonomo e di regolarizzazioni).
Per quanto attiene alla tipologia dei servizi forniti dalle organizzazioni sindacali, queste si suddividono in:
1- tutela sindacale
2- informazione e servizi
3- formazione
4- assistenza legale
5- rappresentanza istituzionale
Tale assistenza viene fornita sia a livello nazionale sia a livello locale, anche tramite le Camere del Lavoro sindacali suddivise territorialmente.
Negli ultimi anni, inoltre, si è assistito ad uno sviluppo di cooperative in cui partecipano anche immigrati stranieri, quando non addirittura di cooperative formate da loro stessi.
Appare evidente come il lavoro in cooperativa per gli immigrati sia utile per un duplice motivo: da una parte viene facilitata l'integrazione nel contesto sociale
locale, dall'altra viene realizzata la promozione sociale e lavorativa degli stessi.
Si riportano di seguito delle importanti ed interessanti definizioni di "diversità", "razzismo" ed "integrazione" riferite agli immigrati ed espresse da importanti personalità politiche e sociali europee durante delle dichiarazioni rilasciate come intervista alla stampa:
Vàclav Havel: "... Uno degli aspetti degli infiniti e meravigliosi colori e misteri della vita è che esistano gruppi di individui diversi fra di loro in quanto gruppi: nei costumi, nelle tradizioni, nella fede, nel colore della pelle, nel modo di vestire. Questa alterità delle varie comunità, possiamo naturalmente accettarla con comprensione e tolleranza, come un arricchimento della nostra vita: possiamo onorarla e rispettarla, possiamo persino esserne felici. ..."
Léo Tindemans: "... Il razzismo ha varie motivazioni, che non sono sempre così cattive: è nella natura dell'uomo di rifiutare ciò che non conosce.
A volte bastano poche cose: il modo di vestire, un altro dialetto. Ma l'educazione, lo sviluppo dei trasporti, il flusso di informazioni ed il turismo oltre frontiera finiscono alla lunga per farci capire che questo nostro atteggiamento è stupido e meschino. ...
... Al di là di concetti filosofici, che uno sia cristiano, agnostico, musulmano, ebreo o altro, si dovrebbe riuscire a delineare un'immagine comune dell'essere umano. Questo consentirebbe di instaurare un dialogo, una comunicazione reciproca. Dobbiamo cercare di parlare fra di noi. Certo non saremo sempre d'accordo, ma parlare assieme non vuol dire uccidersi....
... Potremmo giungere a riconoscere che l'uomo è quanto di più alto esista nel creato. Avremo così rispetto l'uno per l'altro. ..."
2.3 Alcune iniziative in Emilia Romagna
L'Emilia Romagna negli ultimi anni risulta interessata da due importanti fenomeni: il primo è rappresentato dall'invecchiamento della popolazione, l'altro, strettamente collegato al primo, è costituito dalla presenza di immigrati sul territorio, con le relative implicazioni in termini di diritti di cittadinanza e di inserimento lavorativo.
Nel 1992 vengono rilevati come residenti in Emilia Romagna 43.000 immigrati, di cui 10.000 provenienti dall'Unione Europea e dall'America del Nord. Degli altri 33.000 più della metà hanno nazionalità africana (Marocco, Tunisia e Senegal); seguono gli asiatici, soprattutto filippini e cinesi.
In prevalenza si tratta di uomini in età lavorativa, fatta eccezione per la comunità filippina, composta in maggioranza da donne occupate in servizi domestici. Si stabiliscono soprattutto nelle zone della regione ad alto tasso d'imprenditorialità: Correggio, Sassuolo, Reggio Emilia e Modena ospitano dall'1,5 al 2,3% degli immigrati extracomunitari, che sono in media 1'1% nel resto della regione.
Nel 1995 soggiornano nella regione 37.000 uomini e 25.000 donne di Paesi extracomunitari. Accanto alle 40.000 persone presenti per ragioni di lavoro ve ne sono circa 10.000 giunte per ricongiungimenti familiari.
Il "Progetto immigrazione" approvato dalla Giunta Regionale nella seduta del 12.12.95 propone una serie di interventi volti a perseguire l'integrazione degli immigrati, riconoscendone le potenzialità nei processi di sviluppo della regione per quanto riguarda sia l'inserimento nel contesto produttivo di lavoratori dipendenti sia la generazione di imprese e l'autoimpiego.
Lo scopo principale del Programma regionale per l'immigrazione è quello di creare le condizioni per una convivenza "pacifica" ed "integrata". Si tratta di costruire un quadro coerente di politiche che, partendo dalle strategie regionali, si rapporti con l'ambito nazionale e si confronti con i programmi delle altre regioni, al fine di diffondere e sostenere le politiche a favore dell'integrazione.
Le azioni attuate nella Regione in esame nel biennio 1994-1995 per gli immigrati si sono servite di risorse finanziarie, umane e strumentali di grande rilevanza anche se bisogna ora proseguire, completare e potenziare quanto già è stato fatto. Gli interventi si possono raggruppare nei seguenti settori:
Casa: occorre completare il programma di edilizia residenziale a favore dei lavoratori extracomunitari che ha visto, nel 1990-1991, la costruzione di 400 unità abitative (ciascuna in media di 5-6 posti letto) per complessivi 1700 posti letto. Per tale scopo nel 1995 è stato istituito un fondo di £ 3.500.000.000.
Lavoro: sarà necessario prevedere iniziative formative mirate alla qualificazione professionale di immigrati anche nell'àmbito della recente iniziativa di Confindustria denominata 'Dentro il lavoro". Per questo sono stati stanziati nel 1995 £ 416.000.000.
Sanità: gli immigrati occupati e disoccupati hanno diritto al rilascio del libretto sanitario delle A.S.L. del territorio regionale, ma si riscontra ancora una notevole difformità nell'iter adottato dalle varie strutture della Regione.
Servizi sociali: è necessario garantire l'accesso ai servizi, la tutela della salute nei luoghi di lavoro e delle condizioni delle donne e dei bambini immigrati. A tal fine con i 380.000.000 di lire destinati ai Servizi sociali, nel 1995 è stato finanziato dalla Regione Emilia Romagna anche un Corso di riqualificazione professionale per operatori sociali addetti ai centri di prima accoglienza per lavoratori stranieri.
Scuola: nel 1995 sono stati stanziati fondi per £ 74.000.000. In particolare si vogliono formare delle figure professionalmente dedicate a facilitare l'inserimento scolastico dei figli degli immigrati, soprattutto con interventi di sostegno al rendimento scolastico. Un aspetto fondamentale dell'inserimento riguarda l'insegnamento della lingua italiana agli adulti attraverso corsi di alfabetizzazione e di cultura.
Oltre a questi interventi si è ritenuto di poter individuare alcuni progetti da realizzare a breve e medio termine:
a) Convocazione della Conferenza Regionale sull'immigrazione;
b) Valorizzazione del FORUM delle associazioni di immigrati (legge regionale n. 35/1995 attuato con una delibera della Giunta regionale);
c) Attivazione dell'Osservatorio sul razzismo e la xenofobia (ma
i realizzato per difficoltà pratiche ed operative);
d) Potenziamento degli interventi in campo sociale (casa, sanità lavoro e formazione);
e) Iniziative di studio, indagine, ricerca sul fenomeno immigratorio e sulle sue implicazioni;
f) Convegni, seminari, conferenze;
g) Iniziative di carattere culturale e informativo.
La Regione Emilia Romagna, infine, per tutelare i cittadini stranieri provenienti dai Paesi esterni all'Unione Europea, domiciliati nel proprio territorio, ha formulato una bozza di legge regionale sull'immigrazione le cui finalità sono:
2.4 - Gli albanesi in Puglia
In Albania, il passaggio da un'economia centralizzata ad un'economia di mercato ha provocato una profonda crisi, evidenziando il basso livello tecnologico e la mancanza di esperienza manageriale del paese. Ciò' ha portato ad un drammatico livello di disoccupazione che ha toccato tutte le categorie della popolazione e gli individui di tutte le età' e di qualsiasi livello di istruzione, con incidenza particolare sulle donne.
Il tasso di disoccupazione ufficiale nel 1994 era infatti del 18%, quello reale addirittura del 33%, con 508.000 disoccupati. Tale situazione, unita ad un reddito pro-capite tra i piu' bassi d'Europa (circa 550 dollari all'anno), è alla base dell'esodo albanese.
Dopo la seconda guerra mondiale le migrazioni provenienti da questo paese erano pressoché nulle ma agli inizi del 1990 si e' registrato un notevole flusso di emigranti, con un trend sempre crescente.
Il tasso di emigrazione albanese, che già' nel 1992 era pari al 9%, e' salito nel 1994 al 15%. Ad espatriare sono soprattutto gli uomini con il 22% , contro l'8% delle donne. Entrambi appartengono prevalentemente alla fascia di età' che va dai 15 ai 29 anni ( dati 1994 ) .
Nel 1992 le donne hanno alimentato solo il 20% di tali flussi, mentre nel 1994 esse hanno costituito il 25% del totale delle emigrazioni, anche se risultano comunque in netta minoranza rispetto agli uomini .
La meta principale e' risultata essere la Grecia, che attualmente conta 300.000 immigrati albanesi, seguita dall'Italia che ne accoglie 150.000. In tutto i due paesi ospitano il 9% della popolazione albanese emigrata all'estero. Purtroppo il numero dei clandestini e' in continuo aumento: in Italia circa il 68% degli albanesi risulta non essere in regola.
Attualmente, le regioni italiane maggiormente interessate al fenomeno sono Lombardia, Toscana, Lazio, con rispettivamente 10.047, 8.985, 7.779 immigrati albanesi; ma ad accogliere questi ultimi e' soprattutto la Puglia con 11.965 unita' ( circa il 36,7% del totale degli stranieri ), la comunità albanese piu' consistente si trova infatti a Bari, data la vicinanza della città al paese di origine ( dati aggiornati al 30 giugno 1997 ) .
Nei comuni pugliesi la presenza dei centri di accoglienza per gli extracomunitari rilevata in 10 comuni su 231 (4,3 % ) ha evidenziato una leggera prevalenza di strutture private piuttosto che pubbliche.
Inoltre, va sottolineato come su 33 comuni con popolazione compresa fra i 20.000 e i 50.000 abitanti non sia presente un centro pubblico di accoglienza per extracomunitari. Le problematiche concernenti l'immigrazione sono all'ordine del giorno delle Amministrazioni Comunali pugliesi con frequenze diversificate. Nei Comuni più piccoli è frequente la mancata discussione ; nei Comuni più grandi l'argomento è stato affrontato in più casi anche se con bassa frequenza in ciascun comune. Inoltre, in 158 comuni su 231 le Amministrazioni Comunali non hanno discusso dell'integrazione degli extracomunitari .
Se da una parte gli albanesi continuano ad emigrare verso l'Italia , dall'altra gli imprenditori italiani trasferiscono in Albania capitale che ritorna nelle nostra penisola sotto forma di reddito. La costituzione di imprese italiane in Albania trova ragione d'essere nell'abbattimento del costo del lavoro e quindi nella massimizzazione del profitto .
Se apparentemente si assiste ad un aumento del livello occupazionale e quindi del reddito pro-capite, in realtà ciò non si traduce in sviluppo economico nazionale, per raggiungere il quale sono auspicabili immigrazioni in Italia a tempo limitato per una formazione professionale ( stage di lavoro, contratti a termine ) al fine di creare non più manodopera a basso costo, ma imprenditori albanesi in grado di organizzare nel loro paese d'origine un vero e proprio mercato produttivo .
A tutto ciò va aggiunto il recente fallimento delle società finanziarie albanesi, di una tale entità da far presumere un nuovo consistente esodo verso i Paesi del bacino del Mediterraneo .
La riduzione della pressione sul mercato del lavoro locale e l'acquisizione di divise estere che gli emigrati inviano ai loro parenti costituiscono i principali vantaggi per i paesi di emigrazione. Il denaro inviato dagli emigrati non solo costituisce un prezioso apporto finanziario per le famiglie, ma contribuisce altresì alla stabilizzazione socioeconomica dell'Albania: basti pensare che esso rappresenta circa il 60 % del valore totale delle importazioni .
E' stato notato inoltre che circa il 70 % delle merci importate sono state fabbricate nel paese di destinazione degli immigrati.
Per quel che riguarda gli svantaggi del paese di origine, l'inconveniente maggiore è rappresentato dall'abbandono delle campagne da parte dei giovani e dalle conseguenti importazioni di prodotti agricoli, diversamente rispetto al passato, quando l'Albania era paese esportatore di tali prodotti.
2.5 - La presenza straniera nel Lazio.
Confrontando gli stranieri presenti nel Lazio e regolarmente muniti di permesso di soggiorno al 31/12/1992, 1993 e 1994 non si ravvisa nel fenomeno una tendenza di fondo. Difatti, mentre tra il 1992 e il 1993 si è registrato un aumento delle presenze, che sono passate da 228.992 a 244.067 unità, tra il 1993 e il 1994 si è avuto, al contrario, un calo del 22.48% essendo queste diminuite da 244.067 a 189.207 unità. E' tuttavia necessario sottolineare che il calo in questione può essere dovuto ad un riordino, da parte degli organi centrali, dei permessi di soggiorno. Una tendenza di fondo si può, invece, riscontrare per ciò che concerne il peso degli stranieri presenti nel Lazio sul totale degli immigrati presenti in Italia in quanto questo è in costante diminuzione, passando dal 24,7% del 1992 al 20,5% del 1994.
Per quel che riguarda la distribuzione per continenti della presenza straniera in Italia si evince dalla Tab.6 che dal 1992 al 1993 si è verificato un incremento nella numerosità di tutte le collettività straniere in riferimento al continente di appartenenza, anche se con una diversa distribuzione all'interno dei continenti stessi. Mentre infatti per l'Africa è diminuito il numero di maghrebini ed aumentato il numero di immigrati provenienti dagli altri Paesi, per l'Asia si è verificato un decremento degli stranieri provenienti dall'Estremo Oriente a fronte di un aumento considerevole degli immigrati provenienti dal Sub continente Indiano.
Tra il 1993 e il 1994 si registra per tutti i continenti una diminuzione nella presenza straniera, in particolare è l'Africa il Paese con il calo più vistoso e l'Europa quello con il decremento minore. L'andamento lineare della veriazione delle presenze nei due anni considerati conferma l'ipotesi secondo la quale il calo verificatosi è probabilmente imputabile ad una revisione dei permessi di soggiorno, che ha colpito maggiormente le popolazioni dove il controllo sui dati anagrafici è più difficile.
Analizzando le singole collettività presenti per ogni continente si nota che è quella medio-orientale a subire il calo maggiore mentre sono gli immigrati provenienti dai paesi dell'ex blocco comunista a far registrare il calo minore, indice della aumentata presenza di immigrati dell'Est europeo nel Lazio.
Passando ad esaminare la distribuzione per sesso del totale della popolazione immigrata al 31/12/1994 si rileva una quasi equiripartizione tra i sessi, con il 50,85% dei maschi e il 49,15% delle femmine anche se un'analisi per continenti mostra che il divario in alcuni casi diventa molto sensibile, come accade per gli immigrati di provenienza europea dove le femmine raggiungono il 56,22%.
Nella distribuzione territoriale nel Lazio degli immigrati presenti si registra un forte squilibrio: nel 1993 la provincia di Roma superava come numero di stranieri il 94% del totale regionale, mentre le altre provincie registravano valori compresi tra l'1% e il 2%. Per il 1994 la situazione non si modifica di molto anche se Roma scende al di sotto del 92%, Latina sale al 3% e le altre provincie rimangono tra l'1% e il 2%.
Dall'analisi dei dati si rileva infine che nel Lazio cominciano a prender piede non solo le immigrazioni di tipo economicho, ossia le immigrazioni di lavoro, ma anche quelle dettate da motivazioni di ordine sociale, con l'aumento del 35,76% delle richieste di permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare.
Tab. 6 - Provenienza degli stranieri nel Lazio per continente di appartenenza
FONTE: Caritas, 1996
2.6 - Tutti diversi ma tutti uguali: la testimonianza di una rifugiata in Italia*
"Il razzismo " non è, per molte ragioni pratiche di ordine sociale, un fenomeno biologico, ma un mito sociale. In effetti, il mito della "razza" è stato responsabile, nel corso del tempo, di innumerevoli drammi umani e sociali, continuando ad impedire lo sviluppo normale di milioni di persone, private dell'accesso alla civilizzazione e ad una fruttuosa cooperazione. Il razzismo è un tentativo di creare false divisioni all'interno della popolazione, divisioni senza fondamento scientifico, poichè non esiste che una razza sulla terra: "la razza umana" .
Da qualche anno le comunità immigrate in Italia aumentano e tendono a stabilirsi nel paese in modo permanente: alcuni per lavoro regolare nell'industria (in particolare nelle piccole e medie imprese); altri per motivi di studio, soprattutto universitario; altri ancora come clandestini.
Le attitudini ed i comportamenti razzisti esistono nei confronti di tutte le categorie di stranieri e si possono ritrovare nei diversi aspetti della vita quotidiana, dall'alloggio al lavoro, con tutte le conseguenze per chi ne è vittima.
Si assiste, a volte, ad un differente trattamento nei confronti di immigrati dell'Est Europeo, Asiatici o Africani, e dunque alla costruzione di quella che può essere definita come una "gerarchia" tra le minoranze etniche presenti sul territorio italiano. Diverse forme di discriminazioni razziste si manifestano spesso nella vita sociale, anche a livello di istituzioni pubbliche, permanentemente in contatto con gli immigrati; il che aggrava ulteriormente la pesante burocrazia che caratterizza l'amministrazione pubblica in generale.
Altri interpretano il razzismo come un fenomeno di carattere generale, presente in tutte le società, proprio della specie umana e, dunque, ineliminabile, ipotesi che conduce a volte ad assumere comportamenti passivi di fronte ad episodi di intolleranza e discriminazione.
Occorre tuttavia sottolineare gli aspetti positivi legati all'integrazione degli immigrati in Italia:
- L'apertura da parte delle donne, che può essere in parte spiegata attraverso la grande capacità di ascolto e di attenzione da parte di queste ultime nei confronti degli "stranieri", ma che è probabilmente dovuta anche alla minore percezione dell'immigrato come una minaccia sul piano del lavoro.
- Il maggiore rispetto da parte degli uomini, nonostante la possibile concorrenza sul mercato del lavoro.
- La tolleranza da parte delle generazioni più giovani, che sono meno influenzate dall'ideologia razzista.
I comportamenti razzisti sono dunque vissuti quotidianamente, ed oscillano tra l'accettazione totale (generica e poco convincente) ed il rifiuto totale (sintomo di mancanza di familiarità con l'argomento e di ignoranza).
Diversi ma uguali deve essere il simbolo contro ogni forma di razzismo, nelle sue diverse connotazioni: il concetto di superiorità, inteso come superiorità di un gruppo su un altro, ne è l'esempio.
L'Occidente è stato accolto ed accettato al Sud, perchè tanto accanimento nei confronti di coloro che vengono attualmente in Europa per motivi di sopravvivenza? Non si avrà forse paura che la storia dell'Umanità si ripeta?
3.2. Dimensione europea ed autonomie locali
Ogni eventuale normativa di carattere nazionale dovrebbe essere accompagnata da un'attiva politica istituzionale in due direzioni: quella europea e quella dei poteri locali. Sembra infatti che lo sviluppo e soprattutto l'equilibrio complessivo di un'area (per esempio quella mediterranea) non possa essere competenza o responsabilità unilaterale di un solo paese. E probabilmente senza un attivo impegno (politico, civile culturale) delle comunità locali la convivenza fra le popolazioni risulterà spesso forzosa.
I fenomeni migratori poi, che per definizione superano le frontiere nazionali, implicano esigenze non solo di concertazione ma di sollecitazione a nuove creative riflessioni sulle politiche occupazionali e del lavoro: esse inoltre, ed in particolare quelle mediterranee, possono creare positivi cambiamenti nelle relazioni internazionali fra paesi di origine e di destinazione dei flussi migratori.
"La crise de l'Etat nation, dont les conséquences à long terme sont loin d'être totalement maîtrisées, aura des conséquences directes sur le système des relations internationales, qui verra évoluer de manière parfois radicale ses "acteurs traditionnels".
L'émergence des grands ensembles régionaux, aussi bien dans leur configuration actuelle que dans celle qu'ils prendront, à terme, et entre autres, sous l'effet de mutations d'ordre culturel, marquera le siècle qui s'annonce.
Le système des Nations Unies, les différentes organisations régionales, les organisations non-gouvernamentales, les Etats eux-mêmes, en fait tous les acteurs de l'actuelle scène internationale, vont être interpelés et devront formuler des réponses à des situations inédites.
Les réponses seront d'autant plus difficiles à formuler que, nées dans un contexte de crise et de déséquilibres croissants, elles en porteront la marque, au moins dans leurs incertitudes, face à des besoins grandissants en termes, entre autres, de croissance économique, de maintien de la paix ou de défence de l'environnement.
Et l'écart entre le Nord et le Sud de notre planète, appelé à se creuser, nous conduit à un monde marqué de plus en plus par la fracture du sous-développement" (N. SAFIR, 1990).
Come si legge in un importante rapporto del Comitato Europeo per la Popolazione del Consiglio d'Europa (L. TABAH, 1990), "il est de toute évidence que c'est le groupe de pays qui se situe au Sud et à l'Est de la Méditerranée qui touche le plus les intérêts de l'Europe car c'est avec lui qu'elle entretient les rapports humains les plus intenses et qui sont appelés à s'accentuer avec le considérable potentiel de croissance démographique qui va en s'accumulant au Sud et à l'Est. On ne saurait trop insister sur le fait évident que la pression migratoire s'exerce toujours à partir des pays à forte croissance démographique et faible maîtrise du développement. Aussi, le véritable débat sur l'immigration doit consister à s'interroger sur les causes du processus plus encore que sur ses effets.
[...] Il faut bien voir que la stabilité politique et la relative prospérité de l'Europe par rapport à la région méditerranéenne qui a du mal à décoller continueront à en faire une zone d'attraction aussi grande que dans le passé et que le verrouillage des frontières sera d'autant plus difficile que la pression à l'immigration sera plus forte".
L'Atto unico si è prefisso l'abolizione delle frontiere ed è in questo ambito che il discorso sulle migrazioni si sviluppa. Questo vale anche per l'Accordo di Schengen, per il gruppo di Trevi, per il gruppo "cooperazione politica", per il gruppo di "coordinatori" creatosi a Rodi. Nessuno di essi è incaricato prevalentemente di immigrazione.
Tra gli Stati esistono situazioni diverse; in alcuni Stati, di vecchia immigrazione, si parla di integrazione, di scolarità, di controlli dei rifugiati; in altri, di nuova immigrazione, esistono problemi differenti dovuti al fatto che si trovano del tutto impreparati alla gestione di flussi migratori. È necessario che gli Stati collaborino tra loro e con l'Unione Europea; la questione però non è di facile soluzione poiché gli Stati europei fanno resistenza, volendo mantenere la loro sovranità in questo ambito.
È sempre più evidente in questo senso la fragilità delle frontiere nazionali e delle corrispondenti barriere amministrative e normative. "Pour des raisons tant économiques que stratégiques, notamment, l'Etat-nation apparaît de plus en plus comme un cadre inadéquat, inadapté aux conditions de formulation de problématiques nouvelles et tout particulièrement de par l'articulation entre culture et développement qu'elles impliquent.
Si notre époque est déja celle des grands ensembles régionaux, il est clair que l'on est là en présence d'une tendance forte qui ne pourra que se confirmer dans les années à venir.
La notion même de souveraineté est à remettre en question puisqu'elle est illusoire face aux phénomènes de diffusion des systèmes de normes et de valeurs, que ce soit du Nord vers le Sud, que ce soit entre pays du Sud, appartenants, par exemple, à une même aire culturelle.
La crise potentielle de l'Etat-nation que nous vivons est très certainement appelée à se poursuivre, à gagner en profondeur, risquant ainsi de bouleverser les équilibres que nous connaissons actuellement" (Nadji Safir, 1990).
Qui, senza rifugiarsi nell'utopico programma di una libera circolazione universale, si coglie il valore di laboratorio di un'area via via più integrata quale quella europea e mediterranea, dove i problemi di sviluppo e quindi anche di equilibrio demografico non sono più problemi esteri e forse neppure internazionali, ma piuttosto problemi comunitari e quindi interni ad una comunità più ampia e sussidiaria; quella sussidiarietà fra istituzioni locali, regionali, nazionali ed europee richiamata esplicitamente anche nella preparazione del Progetto di Unione europea.
Per J.C. Chesnais (1988), i paesi dell'Unione dovranno attenersi strettamente a tre regole affinché il flusso migratorio sia il meno traumatico possibile: 1) accelerare l'unità politica e la creazione del Mercato unico; 2) intraprendere politiche di cooperazione e di investimento con i paesi del Terzo Mondo in modo da ridurre il divario di ricchezza esistente; 3) facilitare la democrazia nei paesi africani in modo a evitare l'emigrazione di carattere politico molto forte in questi ultimi anni.
Di fronte a questa situazione la Comunità europea ha preso atto e sottolineato due orientamenti di fondo: da un lato, la propensione evidente degli Stati membri a porre sempre più sotto controllo i flussi migratori dall'altro, la necessità che il processo di integrazione degli emigrati avvenga su considerazioni globali di rispetto reciproco delle personalità umane coinvolte e non solo su valutazioni strettamente economiche della vicenda migratoria.
Su questa base l'Europa ha abbozzato, nel 1985, una tela di fondo per una politica europea delle migrazioni basata soprattutto sugli elementi seguenti:
1) concertazione progressiva e coordinata fra tutti gli Stati membri, allorché si tratti di promuovere politiche migratorie nei confronti di cittadini extracomunitari;
2) libera circolazione nel senso via via più completo della parola per i migranti comunitari nella direzione della formazione di un'Europa dei cittadini che in questo momento viene perseguita dall'Unione anche in altri settori (passaporto europeo, commissioni ad hoc, lavori del Parlamento europeo, ecc.);
3) riconoscimento progressivo della piena integrazione dei migranti di prima generazione che si siano sviluppati come vera e propria popolazione a parte intera sul piano economico e sociale;
4) affermazione di un'Europa multiculturale e multietnica che rifiuti la xenofobia; che faccia cadere barriere non più giustificate; e che invece costruisca più facili accessi per tutti ai diritti ed ai doveri pubblici, economici e sociali di ogni popolazione nazionale;
5) considerazione simultanea delle popolazioni nazionali ed immigrate nella predisposizione di leggi e regolamenti;
6) messa in opera di misure di riequilibrio quando la parità fra immigrati e nazionali sia ancora da raggiungere nei campi del diritto di soggiorno, di accesso al lavoro e delle politiche sociali.
La politica migratoria europea diviene così parte integrante dell'Europa dei cittadini promossa con nuove iniziative, reali e simboliche, con più vigore dopo il Vertice dei capi di Stato e di governo di Fontainebleau del 1984. Questo comporta:
- l'accettazione della libera circolazione dei cittadini comunitari in forme sempre più ampie passando dalla dimensione del mercato del lavoro a quella, appunto, dell'Europa dei cittadini;
- lo statuto giuridico dei cittadini non comunitari deve accompagnarsi al consolidamento delle comunità straniere in vere e proprie popolazioni con la progressiva eliminazione di ogni ostacolo alla parità di trattamento. I lavoratori che si trovano nella medesima situazione di fatto non dovrebbero cioè essere trattati in maniera diversa soltanto a motivo della loro nazionalità;
- la concertazione effettiva ed efficace dei paesi membri e di questi con i paesi di origine per il conseguimento più rapido e sostanziale di questi obiettivi. Un passo in avanti decisivo in questa direzione sarebbe costituito dalla ratifica da parte di tutti gli Stati membri e della stessa Unione Europea in quanto tale della fondamentale Convenzione europea sullo statuto giuridico dei lavoratori migranti approvata dal Consiglio d'Europa nel 1977;
- l'informazione aggiornata ed un'idonea formazione e coscienza professionale dei giuristi e degli operatori sociali che si occupano delle questioni relative ai migranti ed alle loro famiglie e che troppo spesso ignorano, ritardano o restringono l'applicazione corretta, nella vita quotidiana, anche della normativa vigente.
Queste stesse indicazioni sono state fatte proprie dal Consiglio dei ministri comunitario che ha accolto l'invito della Commissione esecutiva di Bruxelles per la loro realizzazione.
L'interesse dell'Unione nei confronti dei lavoratori migranti è messo in evidenza anche nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, adottata dai capi di Stato e di Governo di undici Stati membri, durante il Consiglio europeo tenutosi a Strasburgo 1'8 e 9 dicembre 1989. Nella Carta in questione, al Titolo I, si parla tra l'altro di "armonizzazione delle condizioni di soggiorno in tutti gli Stati membri con particolare riguardo al ricongiungimento delle famiglie", di rimozione degli "ostacoli alla libera circolazione derivanti dal mancato riconoscimento di talune categorie di diplomi o di qualifiche professionali" e ancora di "fruizione della parità di trattamento con i cittadini del paese ospitante in tutti i campi, compresi i vantaggi sociali e fiscali". Tale documento, noto come Carta sociale europea, è stato oggetto di ampio dibattito politico e sociale in Europa.
Nuove linee di politica sociale devono affrontarsi riguardo agli spostamenti degli immigrati nell'ambito dell'Europa e delle altre regioni. Queste politiche si devono adattare non solo agli immigrati stessi, ma anche alle situazioni particolari e spesso complesse della seconda generazione. Questo richiede sforzi concentrati in diversi settori della politica sociale, soprattutto per ciò che riguarda l'impiego, il mercato del lavoro, l'alloggio, l'edilizia, l'educazione e la formazione.
"Politicians in countries of heavy immigration will no doubt rapidly be confronted with the problems it creates. The level of tolerance in the local population is seldom high enough not to result in tension between them and the newcomers, in particular if the latter have distinct cultures or are coloured. An important element in such situations is that the immirants do ususlly belong to the poorer groups in society and will tend to settle in relatively large numbers in areas where the poorer sections of the local population live. This then leads to curious "rights" conflicts which governments and local authorities find almost impossible to deal with" (Van De Kaa, 1984).
Molti di questi problemi comportano automaticamente e simultaneamente questioni di convivenza tra popolazioni immigrate e popolazioni originarie. Si evince facilmente come la corretta soluzione di tali problemi è premessa necessaria per evitare la nascita e lo svilupparsi di tensioni culturali, sociali, etniche e razziste; e come queste soluzioni si pongano anzitutto al livello e quindi alla competenza ed alle responsabilità dei poteri locali. "If internal movements lead to congestion in certain areas and to near empty villages elsewhere, complaints are bound to become so numerous, that local politicians can no longer ignore them" (Van De Kaa, 1984).
Dai poteri locali fino alla dimensione comunitaria europea vi è quindi una continuità di problemi e di politiche che - soprattutto con riferimento alle migrazioni - debbono trovare ad ogni livello istituzioni competenti e responsabili della loro soluzione.
3.3 - Cittadinanze diverse: migrazioni, società multietniche e sussidiarietà
I fenomeni dell'inserimento, dell'integrazione e della coesistenza di gruppi diversi di cittadini stranieri in una popolazione locale portano alla considerazione dell'idea di pluricittadinanza: il concetto di cittadino europeo è già diffuso sul piano ideale o programmatico trovando anche alcune applicazioni politiche (la Commissione ed il programma per "l'Europa dei cittadini" e l'emissione di un passaporto individuale europeo, sia pure simbolico, nell'Unione Europea ne sono un esempio) e più ancora istituzionali e giuridiche (ad es. l'elezione a suffragio diretto, con voto individuale, del Parlamento Europeo e talune disposizioni del Trattato di Maastricht sull'Unione Europea).
Lo stesso concetto di "dual nationality" si è posto con esitazione e timidezza, a livello comunitario.
I successivi concetti di cittadinanza nazionale, provinciale, municipale (o comunale) sono, nella nostra esperienza, tutti raccolti nell'unica identità di cittadino di uno Stato: ma tutti sappiamo quanto sensibili e diverse possano essere alcune specificazioni regionali o locali di questa unica identità.
L'idea semplice, ma di complessa realizzazione, che ogni individuo possa appartenere a diversi livelli di cittadinanza si va facendo strada. La "Dichiarazione di Francoforte" per esempio, stabilisce dei principi successivamente ricodificati, per creare in Europa una compatibilità giuridica fra tre dimensioni complementari e diverse della cittadinanza: quella europea, quella nazionale e quella locale, a ciascuna delle quali dovrebbero corrispondere statuti normativi; e quindi diritti e doveri diversi; ma anche diverse competenze politiche e istituzionali delle rispettive amministrazioni pubbliche.
Per molti anni e fino alla prima metà degli anni ottanta la doppia nazionalità e la doppia cittadinanza sono state considerate negativamente dai paesi europei: ma già allora gli esperti avevano chiaramente realizzato che la "nazionalità è stata spesso vista più nella prospettiva dello stato nazionale che dal punto di vista dell'individuo. In effetti, si osserva che un ampio numero di persone dimostrano di preferire la doppia cittadinanza quando questa alternativa gli viene data".
Oggi invece la tendenza è quella di vedere in nuova luce la possibilità di considerare compatibili più forme di cittadinanza. La stessa "Dichiarazione di Francoforte" prospetta la necessità di rimuovere tutti gli ostacoli contro l'acquisizione della pluricittadinanza, ed avanza l'ipotesi di accompagnare questo percorso con la proposizione di una nuova "Charte sur la cité multiculturelle" da elaborare nel quadro più ampio del Consiglio d'Europa; e soprattutto di superare la Convenzione sulla riduzione dei casi di plurinazionalità adottata dallo stesso Consiglio d'Europa nel 1983 ma ratificata soltanto da dieci governi.
Il secondo Protocollo di modifica di questa Convenzione, adottato il 3 febbraio 1993, garantisce la doppia nazionalità a molti casi di stranieri residenti da lunga data ed ai casi connessi di riunificazione familiare.
Una persona si troverebbe cosl a disporre di doveri e diritti specifici di fronte alla sua autonomia comunale ed ai relativi poteri di quel livello; ed analogamente, ma distintamente, a livello del suo paese e del suo stato; ed altrettanto analogamente, almeno per noi, nei confronti dell'Unione Europea. Si tratta, come si vede, di una più ampia interpretazione del principio della sussidiarietà esteso dai poteri (veri o presunti) dell'Unione Europea, ai diritti e ai doveri dei cittadini.
Corrispondentemente, le autonomie locali dovrebbero essere dotate di un'autonomia reale per la gestione delle condizioni di vita quotidiana dei cittadini; questo vale anche, ed in particolare, per la gestione delle politiche di immigrazione e di integrazione dei citttadini migranti, che trovano proprio nella dimensione locale il primo impatto con la società dei paesi di accoglienza. Corrispondentemente è proprio a livello locale che le popolazioni locali possono trovare le ragioni adeguate per prevenire sul nascere, ed eventualmente combattere, le manifestazioni di discriminazione, di xenofobia e di razzismo.
Ovviamente questa giustapposizione di livelli diversi di cittadinanza potrebbe portare ad una loro distinzione e ad una loro dissociazione; il che, nell'esempio precedente, non renderebbe automatico il possesso delle tre dimensioni, per una stessa persona, nel medesimo paese. E qui il discorso diventa interessante ed importante per i cittadini migranti; nei confronti dei quali è possibile pensare - ma oggi è ancora difficile realizzare - una giustapposizione di cittadinanze diverse tra le varie di cui si trova a poter godere all'inizio, durante ed alla fine del processo migratorio. Le implicazioni, non solo giuridiche, di un tale processo sono molte e complesse; ed alcune anche attraenti. Potrebbe un cittadino marocchino mantenere la sua cittadinanza originaria ed essere al tempo stesso cittadino di un comune italiano? Potrebbe un cittadino italiano restare tale pur essendo contemporaneamente cittadino, per es., di Charleroi, di una comunità francofona e ovviamente cittadino comunitario? Potrebbe una persona voler mantenere la sua cittadinanza siciliana ed acquisire, accanto ad essa, quella americana? Ed un francese od un argentino, di terza o quarta generazione, potrebbe riassociare alla nazionalità ormai propria anche la cittadinanza di un paese di origine della sua famiglia in Italia? Molti sono ovviamente gli intrecci teorici e rarissime le risposte normative legate alla cittadinanza multipla.
E difficile dire se si avanzerà su questo cammino; anche se apparentemente questa sembra la strada imboccata almeno dall'Unione Europea e molto timidamente da alcuni governi nazionali. Quel che appare più evidente è invece lo svilupparsi di dibattiti e di prese di posizione in favore della multiculturalità: che al di là delle dichiarazioni di principio richiede proprio il riconoscimento, la compatibilità e la giustapposizione di culture diverse in uno stesso territorio e sotto una stessa legislazione; e quindi, almeno in teoria, della coesistenza di cittadinanze diverse. Quello infine che sembra più probabile è che il simultaneo accentuarsi della mondializzazione di alcuni problemi da una parte (pace, sicurezza, ambiente, risorse essenziali, diritti inalienabili) e l'acutizzarsi del'identificazione locale dall'altra (gruppi etnici, nuove nazionalità, comunità religiose o linguistiche) rendono questa estensione dell'idea di sussidiarietà più evidente, tale da farla apparire nel prossimo futuro più che una scelta, una nuova necessità.
Conclusioni
Il numero crescente di paesi coinvolti dal fenomeno delle migrazioni internazionali è alla base dell'elaborazione di politiche migratorie che superino i confini nazionali.
Al di là degli aspetti macroeconomici, dunque delle politiche nazionali di integrazione o di rotazione degli immigrati, sorge infatti la necessità di tenere in considerazione gli aspetti "micro" del fenomeno: la decisione di migrare tende sempre più a coinvolgere i membri del nucleo familiare e ad essere inserita in un "piano" che si estende anche alle generazioni più giovani.
Lo sviluppo disordinato della cooperazione internazionale porta a ricercare nuove forme di collaborazione tra i paesi in via di sviluppo ed i paesi sviluppati ed a risolvere il processo di integrazione sociale e culturale a livello sovranazionale. Si rivela necessaria la collaborazione di attori diversi, quali i governi, le organizzazioni internazionali, le autorità locali e regionali, le ONG, gli stessi migranti e gli altri attori della società civile per la realizzazione di un'efficace cooperazione decentralizzata, nell'ottica di un'Europa multiculturale.
La corretta soluzione al problema dell'integrazione non è più dunque da ricercare esclusivamente a livello comunitario, ma ad ogni livello della vita sociale; in particolare la convivenza tra popolazioni immigrate e popolazioni originarie coinvolge necessariamente la responsabilità dei poteri locali.
In questo contesto si fa strada l'idea di una "pluricittadinanza": il singolo individuo può appartenere contemporaneamente a diversi livelli di cittadinanza, da quella europea a quella nazionale e comunale.
Un passo importante, anche se di difficile realizzazione, verso la piena integrazione delle popolazioni immigrate, consiste dunque nella considerazione di un livello di cittadinanza locale, con diritti e doveri specifici degli appartenenti alle comunità locali nei confronti di un'autonomia comunale, alla quale vengano attribuite competenze e responsabilità proprie.
E' a livello locale, infatti, che occorre ricercare soluzioni specifiche ai problemi di convivenza pacifica tra le diverse comunità, che siano di complemento alle politiche intraprese a livello nazionale e sovranazionale.
A livello di istituzioni europee, il 21 novembre 1994 il Parlamento europeo ha adottato una "Risoluzione sul razzismo, la xenofobia e l'antisemitismo" proponendo varie misure di intervento, il Consiglio d'Europa e tutte le Organizzazioni Internazionali hanno sottolineato la necessità di vietare ogni forma di discriminazione e di condannare razzismo e xenofobia, dando in tal modo maggiore forza al principio della libertà di circolazione e di soggiorno all'interno dell'Unione Europea. Grande importanza è accordata inoltre allo sviluppo dei sistemi di formazione del capitale umano, alla riduzione delle ineguaglianze socioeconomiche, alla garanzia delle libertà fondamentali ed alla creazione di una nuova classe imprenditoriale.
Numerose azioni sono già state intraprese in questo senso dalle Organizzazioni Internazionali e dalle autorità locali e regionali, ma restano ancora da risolvere numerosi problemi a livello politico e soprattutto finanziario: la copertura finanziaria dei progetti di cooperazione non è sempre possibile in quelle regioni dove le decisioni riguardanti i finanziamenti sono per la maggior parte prese a livello nazionale.